“Le passioni hanno acceso i luoghi di Arezzo simbolo di questa manifestazione: la città ha dato una risposta eccezionale. Al di là di ogni aspettativa”. Piazza San Francesco gremita, l’Arena Eden colma, le sale del cinema di nuovo affollate. Sipario sull’Arezzo Passioni Festival, l’ideatore Marco Meacci sorride: “Vuol dire che c’è una domanda dello stare insieme e di una cultura a dimensione popolare. Riscoprire la bellezza, l’arte, il cinema, la passione per la politica e la musica. Era nostro obiettivo stimolare quante più persone possibile su questi temi”.
Sgarbi e l’arte in apertura, Scanzi con lo spettacolo su De André, il primo film di Michele Picchi, la serata di riflessione su Berlinguer con Labate, Gotor e Rodriguez. “Impossibile fare una classifica – continua Meacci – sono stati tutti eventi importanti con ospiti di grande significato e qualità. Però l’emozionante lezione d’apertura di Sgarbi in piazza San Francesco ha dato slancio a tutta la manifestazione. E’ stato impressionante vedere tante persone in San Francesco, Sgarbi l’ha definita ‘la piazza del Palio della bellezza’, con terrazze piene di persone affacciate. Pompare sangue ‘appassionato’ nelle vene è fondamentale per uscire dal banale, per superare le mere logiche di calcolo o di quieto vivere. Per questo è importante aver chiuso ricordando la figura di Berlinguer a 30 anni dalla morte. Una persona che ha dato la vita per la politica”. Infine “ringrazio molto le persone che hanno seguito tappa per tappa tutti gli eventi, chi ha dato una mano nell’organizzazione e la collaborazione dell’Eden, soprattutto nella figura di Michele Squillace”, chiude Meacci.
“Il Pd ha fatto bene a credere a questa iniziativa – ha detto il segretario provinciale del partito democratico di Arezzo Massimiliano Dindalini -. La cultura è un tema trasversale e sono felice che ci siano stati tanti ospiti, così diversi tra loro come Sgarbi, Scanzi e Picchi, oltre a Labate, Gotor e Rodriguez. Ognuno ha portato contributi e pensieri indipendenti, un arricchimento per chi ha assistito agli eventi”. Infine una riflessione sulla serata di chiusura: “Per ragioni anagrafiche non ho vissuto il periodo di Berlinguer, ma c’è un legame alla sua figura che è eredità familiare. E la serata di ieri è stata un passaggio chiave del festival, più intimo, di riflessione e grande coinvolgimento emotivo. Ha offerto spunti diversi, con Mario Rodriguez che ha respirato in prima persona – e in modo critico – il periodo Berlinguer e con Miguel Gotor che da storico ha approfondito, con passione, quegli anni così significativi”.
Berlinguer: il martirio, il mito
L’ultima giornata del festival si è infatti chiusa ieri, venerdì 13 giugno, con l’apprezzato film di Michele Picchi – prima proiezione all’Eden dopo la chiusura dello scorso 4 maggio – “Diario di un maniaco per bene” e con l’evento “Berlinguer ti vogliamo bene” con lo storico e senatore Miguel Gotor, il docente di comunicazione Mario Rodriguez, il giornalista del Corriere della Sera Tommaso Labate. Una serata di dibattito, con punti di vista diversi sullo storico leader del Pci scomparso l’11 giugno 1984, ma anche toccante, con numerosi contributi video: il celebre abbraccio di Benigni, il ricordo di Jovanotti, l’ultimo comizio di Padova.
“Vengo da una famiglia comunista – ha detto Labate – Berlinguer è diventato un mito, un simbolo. Talmente popolare che anche il M5S se ne è appropriato. Come è possibile? “Perché era autentico – ha spiegato Mario Rodriguez -. La gente per lui si fermava come per le partite di calcio dei mondiali. Ecco perché aveva questa presa: potevi anche non essere d’accordo, ma non potevi evitare di constatarne la autenticità. Berlinguer fu un generatore di grande passione”.
“Si narra di un episodio – ha continuato Labate – Berlinguer una volta in hotel incontrò i giocatori della Juve che lo andarono a salutare, dicendogli: ‘sappiamo che simpatizza per la Juventus’. E lui rispose: ‘in realtà simpatizzo Cagliari, ma la mia squadra è la Torres Sassari, non la Juve’. Ecco, qualsiasi politico di oggi non si sarebbe lasciato scappare l’occasione per gigioneggiare assieme a celebrità come i calciatori. Ma di Berlinguer si dice che fosse incapace di dire bugie”.
“Ho studiato molto le vite dei santi – ha aggiunto Miguel Gotor – e ci sono luoghi ricorrenti della costruzione della sacralità del personaggio. I santi in vita erano semplici, a volte ingenui. Ma hanno il comune denominatore del martirio, della morte straordinaria. Berlinguer è diventato tale, anche per quel malore, per quel tragico comizio finale”.
Ufficio Stampa Arezzo Passioni Festival